Il Progetto B.A.O.N.P.S. ( Be Aware on Night pleasure safety) è un progetto finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Justice Programme che coinvolge organizzazioni di quattro paesi europei, quali Italia, Portogallo, Slovenia e Germania.
In Italia capofila del progetto è la Cooperativa Alice di Alba. Gli altri partners italiani sono: Il Dipartimento di Patologia delle Dipendenze dell’ASL TO4, Il Centro Antidoping “ Bertinaria” di Orbassano, l’ Istituto di Ricerca e Formazione Eclectica di Torino, FederSerD ed CNCA nazionale.
Il progetto si pone come obiettivo primario fornire ai governi partner dell’Unione Europea e alle Istituzioni della Commissione Europea informazioni sulle NPS ( nuove sostanze psicoattive) e gli stili di consumo ad esse associate allo scopo di aumentarne la conoscenza attraverso l’identificazione delle differenti tipologie di sostanze psicoattive, stimarne i rischi e fornire risposte più efficaci.
In particolare, il Progetto B.A.O.N.P.S. mira ad identificare le Nuove Sostanze Psicoattive attraverso l’effettuazione dell’analisi delle sostanze (drug checking) nei contesti di divertimento notturno ed informare l’Early Warning System (EWS); ad implementare la conoscenza, la consapevolezza e gli effetti collegati all’assunzione di NSP, tra i frequentatori dei luoghi target dell’intervento; a conoscere i nuovi pattern di consumo delle NSP; a informare i SerD sulle NSP, il loro pattern di consumo ed i fattori culturali che li influenzano; creare Linee Guida pilota per il drug checking da diffondere presso i paesi Europei che non lo effettuano ancora.1
Da anni in Europa è invalsa la pratica da parte di gruppi di operatori sanitari di porre in essere una delle pratiche improntate alla riduzione del danno e alla tutela della salute dei consumatori : il pill testing o l’analisi delle sostanze stupefacenti.
Tale pratica, inizialmente, in uso solo in Olanda dalla metà degli anni 90, si è poi diffusa in altri paesi europei (attualmente in Spagna, Portogallo, Francia( Thin-layer chromatography), Slovenia, Svizzera, Austria, etc..) , mentre in Italia ci sono sempre state resistenze sulla sua diffusione e praticabilità.
Tale pratica consiste in un’analisi delle sostanze stupefacenti condotta con reagenti chimici colorimetrici e gli operatori pongono usualmente una postazione con accesso riservato in eventi quali rave parties o feste danzanti dove è diffuso il fenomeno del consumo degli stupefacenti , soprattutto relativamente a sostanze quali cocaina, mdma, lisergici, metamfetamine, anfetamine, eroina,ketamina,etc..
Questi reagenti sono validati a livello internazionale e hanno una buona corrispondenza con analisi Gas- cromatografiche di laboratorio, soprattutto possono essere legalmente acquistati in rete da chiunque in tutta Europa a prezzi accessibili.
Tale progetto si è sviluppato ed ha preso ispirazione e modello interventi pioneristici portati avanti in Italia da una rete informale di operatori facente capo al Lab 57 di Bologna e al Gabrio di Torino.
L’analisi della sostanza viene effettuata mediante il RAMAN Spectometry, strumento in grado di identificare la sostanza da analizzare senza entrare in contatto con la stessa.
Gli operatori che eseguono il drug checking non entrano infatti in alcun modo in contatto con la sostanza stupefacente sottoposta ad analisi: il consumatore, in modo assolutamente anonimo, viene invitato ad inserire in una apposita bustina trasparente la sostanza che intende far analizzare; successivamente è lo stesso consumatore che appoggia la bustina su uno specifico punto del tavolo, al fine di eseguire l’analisi. A questo punto della procedura, i tecnici incaricati avvicinano alla bustina lo strumento RAMAN che, nel giro di pochi minuti, riconosce la tipologia di composto presente. Il risultato dell’analisi viene comunicata al soggetto unitamente ad un counselling specifico e personalizzato, fornito dagli operatori sociali, inerente i rischi e i danni provocati dal consumo di tale sostanza.2
Tale Programma desta, tuttavia, numerosi dubbi sul piano giuridico, specie per ciò che attiene all’esistenza, o meno, di un obbligo di denuncia in capo ad un operatore pubblico dei reati procedibili d’ufficio.
Nello specifico ci si chiede se l’operatore venuto a conoscenza da parte di un utente che il drug checking ha rivelato la presenza di un elevato principio attivo di una sostanza tabellare, abbia o meno l’obbligo di denunciare il reato di spaccio.
Premessa necessaria ad una simile analisi è la definizione che il nostro codice penale all’art. 358 dà di incaricato di un pubblico servizio; la norma prevede che «Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale».
Da tale definizione discende dunque che, per quanto riguarda la natura dell’attività svolta da un soggetto qualificato come incaricato di un pubblico servizio, ha rilevanza giuridica non tanto la natura della singola attività in sé considerata, quanto il contributo concreto di tale attività alla realizzazione delle finalità del pubblico servizio.
L’art. 358 c.p., abbracciando quelle attività di interesse pubblico espletate nell’interesse della collettività 3, accoglie dunque una nozione oggettiva di pubblico servizio emergente dalla disciplina normativa dell’attività oggettivamente considerata, indipendentemente dal fatto che il suo esercizio sia affidato allo Stato o ad altri soggetti, pubblici o privati.
Possiamo vedere, infatti, come, nell’ambito della casistica di creazione giurisprudenziale, che ha ricondotto numerose figure nel genus di incaricato di un pubblico servizio, vi sia anche l’amministratore di un’associazione che svolge attività di recupero di soggetti tossicodipendenti in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale con conseguente introito di denaro pubblico. 4
Ciò premesso, risulta pacifico che possa essere definito incaricato di pubblico servizio non solo il dipendente ASL, ma anche il dipendente di una cooperativa, ente di diritto privato, che gestisce fondi pubblici anche di origine comunitaria, come nel caso di specie.
La posizione di quest’ultimo tuttavia si trova in una situazione di incertezza dettata dall’alternativa tra obbligo di denuncia o segreto professionale.
In ordine alla disciplina del segreto professionale, contenuta nell’200 c.p.p.5, si osservi che era inizialmente destinata alle sole categorie di soggetti originariamente previste dalla norma.
Con successivi interventi legislativi è stato poi ampliato il novero dei soggetti destinatari dell’obbligo di opporre il segreto professionale.
Per ciò che rileva in questa sede, è necessario osservare come l’art. 120, comma 7, d.p.r. 309/1990 oggi preveda che «Gli operatori del servizio pubblico per le tossicodipendenze e delle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, salvo l’obbligo di segnalare all’autorità competente tutte le violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma terapeutico alternativo a sanzioni amministrative o ad esecuzione di pene detentive, non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione, ne’ davanti all’autorità giudiziaria ne’ davanti ad altra autorità. Agli stessi si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili».
Tale norma, la cui ratio risiede nell’esigenza di evitare che la richiesta di aiuto o di un accertamento diagnostico siano l’anticamera per l’applicazione di sanzioni amministrative o penali, estende dunque a tutti gli operatori, siano essi sanitari o sociali, le garanzie di cui gode il difensore ex art. 103 c.pp.. In quest’ottica la norma prevede inoltre il diritto all’anonimato della persona che si rivolge al servizio pubblico per le dipendenze o alle strutture del privato sociale convenzionate per accertamenti diagnostici e/o per un percorso di cura al servizio per le tossicodipendenze. Questo fa si che coloro che decidano di avvalersi del diritto all’anonimato abbiano diritto a non avere riportati i propri dati personali, né altri dati che valgano alla loro identificazione, sulle schede sanitarie del servizio che dovranno prevedere un sistema di codifica, atto a tutelare il diritto all’anonimato del paziente e ad evitare duplicazioni di carteggio.
Per una più completa panoramica del quadro normativo in materia, si rileva inoltre come la legge Fini – Giovanardi abbia determinato un mutamento rispetto al regime precedente per ciò che attiene all’affidamento in prova e agli altri modi di esecuzione della detenzione, prevedendo agli articoli 89, comma 5bis6, e 947, relativi all’affidamento in prova e alla sospensione dell’esecuzione della pena detentiva, specifici obblighi di segnalazione.
Tale situazione di incertezza potrebbe determinare «un evidente scollamento tra le fonti legislative»8 e ciò in quanto, nel caso di un tossicodipendente posto in affidamento in prova, l’assistente sociale che ne cura l’esecuzione della misura alternativa dovrà riferire e denunciare ogni comportamento non solo illecito, ma anche contrario alle prescrizioni impartite dal Tribunale di sorveglianza all’atto della concessione del beneficio.
Ciò premesso, non risulta dunque chiaro fino a che punto anche l’incaricato di pubblico servizio possa opporre il segreto professionale a scapito dell’obbligo di denuncia espressamente previsto dall’art 331 c.p.p.9.
Tale dubbio sussiste esclusivamente nei casi in cui un soggetto si presenti al servizio con una quantità rilevante di sostanza stupefacente, posto che ex art. 75 d.p.r. 309/1990 la detenzione di piccole quantità di sostanza stupefacente, destinata ad uno personale, non integra un reato bensì un illecito amministrativo.10
In materia di coordinamento tra segreto professionale e obbligo di denuncia per i reati perseguibili d’ufficio, in particolar modo per il reato di spaccio ex art. 73 d.P.R. 309/1990, in capo agli incaricati di pubblico servizio non vi è opinione univoca: alcuni, abbracciando una interpretazione restrittiva dell’art. 120 d.P.R. 309/1990, negano che tale norma possa valere a giustificare la mancata denuncia di un reato perseguibile d’ufficio, quale il reato di spaccio, da parte di un incaricato di pubblico servizio11; altri, al contrario, ritengono che l’operatore del Sert non sia tenuto a riferire condotte non consone e che, in caso di controversia, questo possa godere delle garanzie previste per i difensori. Secondo tale interpretazione meno restrittiva gli operatori delle comunità terapeutiche, non essendo tenuti ad alcun obbligo se non quello dettato dalle loro convinzioni personali, possono astenersi da qualsiasi comunicazione all’autorità giudiziaria.12
La procedura del drug checking, consentendo anche di conoscere il contenuto del composto sottoposto analizzato, solleva alcuni problemi circa il coordinamento con l’art. 73 d.P.R. 309/1990 nell’ipotesi in cui il principio attivo contenuto nella sostanza sia superiore al limite consentito per legge, e tale dunque da far pensare ad un detenzione della sostanza ai fini di spaccio e non di uso esclusivamente personale.
Una soluzione a tale dilemma potrebbe essere offerta dall’analisi dell’art. 331 c.p.p. che, come precedentemente accennato, disciplina l’obbligo di denuncia in capo ai pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio.
Tale norma impone ai soggetti sopra indicati «che nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile d’ufficio devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito» ed collocata nel libro V, Titolo II, rubricato “notizia di reato”, del codice di rito.
Il concetto di notizia di reato accolta dal nostro ordinamento comprende solo quelle informazioni che abbiano un minimo di concretezza e di specificità, con l’automatica esclusione della diceria, del mero sospetto e della congettura. Dunque, vi è notizia di reato quando l’informazione appresa abbia ad oggetto un fatto specifico, con il debito supporto di fonti di prova, nel quale siano individuabili gli elementi essenziali di un reato13, non essendo sufficiente una segnalazione sommaria e imprecisa di un fatto14.
Per contro, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, si configura il reato di omessa denuncia ex art. 361 c.p. solamente nell’ipotesi in cui il pubblico ufficiale sia in grado di individuare, con sicurezza, gli elementi di un reato, mentre qualora egli abbia il semplice sospetto di una possibile futura attività illecita, deve, ricorrendone le condizioni, semplicemente adoperarsi per impedire l’eventuale commissione del reato ma non è tenuto a presentare denuncia.15
L’attuale formulazione dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990, che disciplina le ipotesi di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope 16, è il frutto di una declaratoria di incostituzionalità che ha coinvolto alcune norme della c.d. Legge Fini – Giovanardi, modificative del d.P.R. 309/199017.
Tale pronuncia, oltre ad aver ripristinato la formulazione anteriore alle modifiche apportate dalle legge Fini-Giovanardi per quanto attiene al sistema sanzionatorio previsto dalla norma, ha determinato anche la caducazione della presunzione di destinazione a terzi della sostanza stupefacente detenuta, prevista dalla legge Fini-Giovanardi, che era basata esclusivamente sul dato quantitativo del principio attivo contenuto nella sostanza: la legge del 2006 aveva, infatti, previsto che, laddove il quantitativo avesse superato i limiti predeterminati, poteva presumersi la destinazione a terzi della sostanza e, per effetto, la punibilità penale della condotta.
Allo stato dell’arte, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, l’accertamento sulla destinazione a uso personale della sostanza o con finalità di cessione a terzi viene svolto all’esito di un esame che ha ad oggetto una serie di circostanze, sia di carattere oggettivo, quali il peso lordo della sostanza, le modalità di detenzione, frazionamento della sostanzia in dosi, la presenza di bilancini o arnesi da taglio, la presenza di sostanze diluenti o per “tagli” delle sostanze, la presenza di attrezzature per il confezionamento della sostanza, la capacità reddituale del soggetto per far fronte all’acquisto di una ragionevole scorta per il suo uso personale; sia di carattere soggettivo come il comprovato stato di tossicodipendenza della persona, cioè l’accertata abituale assunzione giornaliera da parte del singolo tossicodipendente in misura superiore a quella media tabellata.
Ciò premesso, dunque, la dose media giornaliera giornaliera e la quantità di sostanza detenibile non integrano di per sé il reato di spaccio, ma sono semplici indizi che possono portare ad una conferma, o meno, del reato di spaccio.
La stessa Corte di Cassazione ha, a più riprese, affermato che «in tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari dell’art. 73 bis, comma primo, lett a), del D.P.R. 309/1990 – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad uso non personale.»18
Dall’analisi del quadro normativo potrebbe dunque concludersi che nell’ipotesi in cui l’operatore, giuridicamente inquadrato come incaricato di un pubblico servizio, venga a conoscenza di un elemento da solo non idoneo ad integrare il reato di spaccio, quale ad esempio la semplice detenzione, non sia obbligato a denunciare. Si noti inoltre come un’ipotetica denuncia, in questi casi, potrebbe portare l’operatore anche a dover rispondere del reato di diffamazione, ex art. 595 c.p..
Alla luce di quanto sin qui esposto una soluzione potrebbe essere individuata nell’estensione del settimo comma dell’art. 120 anche a chi svolge la professione di operatore di prossimità attraverso un ampliamento della figura dell’operatore socio-sanitario oppure attraverso l’aggiunta di una specifica dizione nel testo dell’art. 120.
Posto, tuttavia, che l’ambito soggettivo della norma è sufficientemente delimitato dalla stessa in ossequio al principio di tassatività espresso dall’art. 2, n. 70, l.d. 81/1987 19 e che da ciò consegue l’impossibilità di estendere il catalogo soggettivo con analogie che potrebbero sembrare «avventurose»20, tale alternativa richiede un intervento attivo da parte del legislatore teso a modificare l’ambito di operatività soggettiva del segreto professionale.
A voler percorrere un’altra strada, si osservi come la procedura di drug-checking altro non è che un accertamento diagnostico, dal momento che attraverso tale analisi, il medico/operatore ha la possibilità di sapere esattamente che tipologia di sostanza il suo assistito assume e di conseguenza, effettuare le scelte terapiche più opportune in relazione al caso concreto. Ciò comporta dunque che, anche la persona che richiede il servizio di drug checking, possa avere diritto all’anonimato previsto dall’art. 120 DRP n. 309 del 1990.
Sotto un altro profilo vanno individuate le possibili figure di reato astrattamente configurabili in relazione a tale pratica e perché si ritiene che le stesse non si integrino:
non l‘istigazione a delinquere di cui all’art. 414 c.p. stante che tale pratica non tende ad incentivare il consumatore ad assumere sostanze stupefacenti, viene infatti anche diffuso contestualmente materiale informativo sui rischi dati dall’uso e dall’abuso di sostanze e che tende a disincentivare fenomeni di abuso. In ogni caso il consumo di sostanze stupefacenti non è un reato né un illecito amministrativo che è invece ravvisato nella detenzione al fine di farne uso personale di sostanza stupefacente.
Neanche può ravvisarsi un fenomeno di favoreggiamento di cui agli artt. 378 e 379 c.p in quanto non si favorisce nessuno nell’atto di commettere un reato o di assicurarsene il profitto o di guadagnare la fuga né tanto meno lo si agevola ad eludere le investigazioni delle Autorità e poi vale sempre il discorso sopra rassegnato che il consumo di sostanze non è né reato né illecito amministrativo e la detenzione di sostanze al fine di farne uso personale è un illecito amministrativo. In ogni caso non si agevola neanche il fenomeno del consumo o la detenzione, si interviene in situazioni dove il soggetto già detiene e si analizza la sostanza al fine di consentire al consumatore di non incorrere in gravi rischi per la propria salute che si verificherebbero in presenza di un alto livello di principio attivo ( rischio di overdose) o altri rischi dati da sostanze di taglio o dalla presenza di un principio attivo diverso da quello che si ritiene essere presente.
Si ricorda che uno dei beni giuridici protetti dalla normativa degli stupefacenti è il diritto alla salute di cui all’art.32 della Costituzione e tale pratica tende proprio a tal fine.
Non sussiste altresì il reato di agevolazione all’uso di sostanze stupefacenti di cui all’art.79 in quanto non si predispone né si consente che in un locale aperto al pubblico o in un circolo privato vi sia un convegno di persone che ivi si danno all’uso di stupefacenti; né si ha la disponibilità di un veicolo o di un ambiente o di un immobile adibito da sé o altri a luogo di convegno abituale di chi fa uso di sostanze. Ciò in quanto normalmente gli operatori non hanno alcuna relazione con il locale ove viene effettuata tale pratica né tanto meno il consumo avviene nei pressi o sul veicolo degli operatori ed in ogni caso, come già ripetuto, viene anche fornito materiale che indica i livelli massimi di concentrazione delle sostanze oltre le quali è possibile incorrere in overdose così come si sconsiglia l’uso di sostanze che non rispondono correttamente al test.
Non si realizza, infine, neanche il reato di cessione gratuita di stupefacenti e ciò in quanto è sempre il consumatore a manipolare la sostanza che non viene mai toccata dagli operatori, indi la sostanza rimane sempre nella disponibilità del consumatore e non si realizza la traslazione dalla disponibilità dello stesso a quella degli operatori e viceversa.
Vieppiù la quantità di sostanza necessaria per condurre tale tipo di accertamento è veramente infinitesimale (intorno a 1-2 mg) e non è di per sé atta a produrre effetto stupefacente per cui, nell’ipotesi in cui pur dovrebbe realizzarsi tale manipolazione si sarebbe nel campo del reato impossibile di cui all’art. 49 c.p..
In ogni caso la quantità di sostanza usata per il test viene poi distrutta dai reagenti chimici e pertanto tale traslazione non si realizza.
Questi sono alcuni degli aspetti relativi alla pratica in oggetto ma vanno indagate anche alcune norme del Testo Unico degli stupefacenti :
l’art.17 impone infatti una specifica autorizzazione del Ministero della Salute per coltivare, produrre, impiegare, importare, ricevere e spedire in transito, commerciare a qualsiasi titolo o comunque detenere sostanze stupefacenti.
Nel caso di specie pare potersi fare a meno di tale autorizzazione in quanto tale procedura non implica, come sopra indicato, alcuna detenzione della sostanza o suo impiego. Diversamente ogni pratica di spedizione e invio a centri o laboratori richiederebbe tale autorizzazione ritenendo che se ne possa fare a meno nel caso in cui l’analisi viene condotta in loco e con le modalità sopra descritte.
Ciò in quanto tale pratica si può inquadrare come un intervento di prevenzione di competenza regionale come da disposto dell’art.113 del TU sugli stupefacenti che assegna tali interventi a tali enti specificamente, così come la progettazione e l’esecuzione in forma diretta ed indiretta di interventi di prevenzione e informazione .
Elia De Caro Valeria Conti Marzo 2017
Si ringraziano Elisa Fornero e Massimo Lorenzani per la preziosa collaborazione.
Tale pubblicazione si avvale di licenza copy left , può essere distribuita e divulgata gratuitamente ma vanno menzionati gli Autori.
1http://www.aslto4.piemonte.it/catalogoExp.asp?N=925;
2http://coopalice.net/baonps/category/news/.
3Crespi, Forti, Zuccalà, Nozione di persona incaricata di un pubblico servizio, in Commentario breve al codice penale, 2011, XII ed., pag. 1426 ss;
4Cass. pen., sez. IV, sent. 33500/2009;
5Art. 200, comma 1, c.p.p.: «Non possono obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria: a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano; b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai; c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà dal deporre determinata dal segreto professionale. »;
6Art. 89, comma 5 bis, d.P.R. 309/1990: «Il responsabile della struttura presso sui si svolge il programma terapeutico di recupero e socio-riabilitativo è tenuto a segnalare all’autorità giudiziaria le violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma. Qualora tali violazioni integrino un reato, in caso di omissione, l’autorità giudiziaria ne dà comunicazione alle autorità competenti per la sospensione o revoca dell’autorizzazione di cui all’articolo 116 e dell’accreditamento di cui all’articolo 117, ferma restando l’adozione di misure idonee a tutelare i soggetti in trattamento presso la struttura»;
7 Art. 94, d.P.R. 309/1990: «1. Se la pena detentiva deve essere eseguita nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi, l’interessato può chiedere in ogni momento di essere affidato in prova al servizio sociale per proseguire o intraprendere l’attività terapeutica sulla base di un programma da lui concordato con una azienda unita’ sanitaria locale o con una struttura privata autorizzata ai sensi dell’articolo 116.
6-ter. Il responsabile della struttura presso cui si svolge il programma terapeutico di recupero e socio-riabilitativo e’ tenuto a segnalare all’autorità giudiziaria le violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma. Qualora tali violazioni integrino un reato, in caso di omissione, l’autorità giudiziaria ne da’ comunicazione alle autorità competenti per la sospensione o revoca dell’autorizzazione di cui all’articolo 116 e dell’accreditamento di cui all’articolo 117, ferma restando l’adozione di misure idonee a tutelare i soggetti in trattamento presso la struttura.»;
8Ibidem;
9Art. 331, comma1, c.p.: «Salvo quanto stabilito dall’art. 347, i pubblici officiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.»;
10Art. 75, comma 1, d.P.R. 309/1990: «1. Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope e’ sottoposto, per un periodo da due mesi a un anno, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I e III previste dall’articolo 14, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso articolo, a una o più delle seguenti sanzioni amministrative:a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni ; b) sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla; c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli; d) sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.»;
11 Di Gennaro G., La Greca G., Titolo XI – ART 120, in «La droga : traffico, abusi, controlli : commento al testo unico 9 ottobre 1990, n. 309, sulla disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, raccolta completa delle disposizioni emanate per l’attuazione della disciplina»,, Giuffrè 1992, pag 354-355;
12 Calzelunghe D., «Il segreto professionale nella normativa relativa alla tossicodipendenza: una questione da sollevare», in Rassegna italiana di criminologia, 1997, pag. 15;
13Di Dalla, «Notizia di reato», in Digesto delle discipline penalistiche, VIII, 1994, 261;
14Romano, «Delitti contro l’amministrazione della giustizia», Giuffrè, 2004, 26;
15Cass. Sez.V, sent. 26081/2008;
16 Art. 73., d.P.R. 309/1990: «1. Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita,cede o riceve, a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi previste dall’articolo 75, sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 14, è punito con la reclusione da otto a venti anni e con la multa da euro 25.822 a euro 258.228. 2. Chiunque, essendo munito dell’autorizzazione di cui all’articolo 17, illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nel comma 1, è punito con la reclusione da otto a ventidue anni e con la multa da euro 25.822 a euro 309.874. 3. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione. 4. Se taluno dei fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall’articolo 14, si applicano la reclusione da due a sei anni e la multa da euro 5.164 a euro 77.468. 5. Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi,la modalita’ o le circostanze dell’azione ovvero per la qualita’ e quantita’ delle sostanze, e’ di lieve entita’, e’ punito con le penedella reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329. 5-bis. Nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero,qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, puo’ applicare, anziche’ le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilita’ di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 secondo le modalita’ ivi previste. Con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilita’. L’ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilita’ ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso puo’ essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilita’, in deroga a quanto previsto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che procede, o quello dell’esecuzione, con le formalita’ di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell’entita’ dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca e’ ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilita’ puo’ sostituire la pena per non piu’ di due volte. 5-ter. La disposizione di cui al comma 5-bis si applica anche nell’ipotesi di reato diverso da quelli di cui al comma 5, commesso, per una sola volta, da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e in relazione alla propria condizione di dipendenza o di assuntore abituale, per il quale il giudice infligga una pena non superiore ad un anno di detenzione, salvo che si tratti di reato previsto dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale o di reato contro la persona. 6. Se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata. 7. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosasia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti»;
17Corte Costituzionale, sent. 32/2014.
18Cass. Pen., sez. III, sent. n. 46610/2014.
19Art. 2, n.70, l.d. 6.2.1987 n. 81: «previsione che il pubblico ministero o il giudice al quale venga opposto, nei casi consentiti dalla legge, dai pubblici ufficiali, dai pubblici impiegati e dagli incaricati di pubblico servizio, il segreto di Stato chieda conferma al Presidente del Consiglio dei ministri; previsione che, in caso di conferma della segretezza, ove la conoscenza di quanto oggetto del segreto sia essenziale per la definizione del processo, venga dichiarato di non doversi procedere nell’azione penale per l’esistenza di un segreto di Stato; previsione che nessun tipo di segreto possa coprire fatti, notizie o documenti concernenti reati diretti all’eversione dell’ordinamento costituzionale; previsione dei casi di segreto professionale; previsione del segreto giornalistico limitatamente alle fonti delle notizie, salvo che le notizie stesse siano indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità possa essere accertata soltanto attraverso l’identificazione della fonte della notizia»;
20Conso-Illuminati, in Commentario breve al codice di procedura penale, II ed., p. 798.